Ma gli italiani parlano italiano?

La verità sui dialetti italiani e il loro uso

“Va bene, sei nata in Sicilia. Ma dov’è che vivi davvero?”, mi disse una volta un amico libanese dopo avergli parlato delle mie origini. Pensava che la Sicilia fosse abitata solo da anziani e pecore. Che immagine bucolica!

Ci sono ancora (e forse sempre ci saranno) molti stereotipi sull’Italia, il Sud del Paese e la/le lingue che parliamo nello Stivale.

In questo articolo affronterò alcuni di questi stereotipi linguistici, cercando di delineare il panorama d’uso dei nostri dialetti e varietà linguistiche.

Giovane nazione, giovane lingua

Prima di scendere nei dettagli, giusto una breve panoramica storica. L’Italia è un Paese abbastanza giovane: la sua unità risale solo al 1861 (160 anni fa). Prima dell’unificazione e anche molti decenni dopo, nessuno parlava italiano. Ogni area aveva la sua lingua o dialetto, che venivano utilizzati correntemente. Solo durante la seconda metà dello scorso secolo, grazie anche al contributo di programmi educativi in TV, cominciò a diffondersi lentamente una lingua unica, che si è alla fine concretizzata nell’italiano che usiamo oggi.

Ma cosa è successo ai dialetti? Ciò che è certo è che non sono affatto scomparsi, nonostante siano purtroppo condannati a un lento declino. Ricordiamo anche che la diffusione di una lingua unica è stato un processo lungo e faticoso, poiché questa era del tutto estranea agli italiani.

old tv

Vari dialetti, varie origini

I dialetti italiani hanno origini diverse e le loro strutture e lessici sono stati influenzati dalle culture che hanno dominato le rispettive regioni nel corso dei secoli. Ad esempio il siciliano, così come gli altri dialetti del Sud, reca tracce spagnole e arabe (si pensi al famoso vino e vitigno siciliano chiamato Zibibbo, parola che trae origine dall’arabo zibīb, ovvero “uva passa”), mentre in Piemonte e nei dialetti del Nord l’influenza francese è molto più evidente (“mela” in piemontese si dice pum, molto simile al francese pomme).

È ora chiaro che i dialetti italiani sono molto diversi tra loro, ma se l’italiano è la nostra lingua ufficiale, quale lingua usiamo davvero e in che circostanze?

Dipende dal contesto!

È scontato dire che parliamo italiano quando comunichiamo con persone di regioni diverse dalla nostra, altrimenti non ci capiremmo! Poi, usiamo l’italiano “standard” nei contesti ufficiali: a scuola, in TV, nei romanzi e così via. Ciò non significa che sia impossibile sentire parole o espressioni dialettali in questi contenti (anche se non succederà in quelli molto seri), ma probabilmente si tratterà di inserimenti sporadici e non di interi discorsi.

E con gli amici e i parenti? Ancora una volta, dipende dal contesto! In alcune aree e quartieri (sempre meno numerosi) non tutti parlano comunemente italiano e la lingua “standard” è quindi usata raramente. Tuttavia, i dialetti sono spesso usati in situazioni informali e rilassate anche in altri contesti sociali: tra amici, solitamente le battute più naturali e simpatiche vengono fuori in dialetto!

informal context

Standard che?!

È però necessario chiarire un punto: qua e là ho usato l’aggettivo standard in riferimento alla lingua italiana priva di influssi dialettali o regionali. La verità è che non esiste nessun italiano “standard” (ecco perché l’ho sempre scritto tra virgolette): ognuno di noi parla con un accento diverso -spesso facilmente riconoscibile- e usando parole ed espressioni regionali che non sono necessariamente dialettali, ma che verrebbero raramente usate da persone di altre regioni. Ad esempio, in base alla regione, sentiremo parlare di sfiga, iella, scalogna e così via. Tutti gli italiani capiscono il significato di queste tre parole (chiamate geosinonimi), ma in base alla loro provenienza ne useranno solo una per riferirsi alla sfortuna!

In conclusione, quando si comunica con un pubblico italiano, per motivi lavorativi o personali, i dialetti raramente costituiscono un problema, ma rappresentano comunque un importante aspetto del nostro patrimonio linguistico e culturale.

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